Griselda, Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO PRIMO
 
 Gabinetto reale.
 
 SCENA PRIMA
 
 GUALTIERO e capi del popolo
 
 GUALTIERO
 Questo, o popoli, è il giorno, in cui le leggi
 da voi prende il re vostro. A voi fa sdegno
 veder ch’empia il mio letto
 donna tratta da’ boschi,
5donna avvezza a trattar rustica vanga.
 Tal Griselda a me piacque;
 tal la sdegnaste. Alfine
 miro lei co’ vostri occhi.
 Decretato è il ripudio; e voi ne siate
10giudici e spettatori. Or che la rendo
 alle natie sue selve,
 col vostro amor quel del mio core emendo.
 
 SCENA II
 
 GRISELDA e i detti
 
 GRISELDA
 Eccoti, sire, innanzi
 l’umil tua serva.
 GUALTIERO
                                 È grave
15l’affar, per cui sul primo albor del giorno
 qui ti attende Gualtier.
 GRISELDA
                                             Tutta quest’alma
 pende da’ labbri tuoi.
 GUALTIERO
                                          Siedi. (Si assidono)
 GRISELDA
                                                        Ubbidisco.
 GUALTIERO
 Il ripeter ci giovi
 gli andati eventi. Dimmi
20qual io fui, qual tu fosti.
 GRISELDA
 (Alto principio!) In vil tugurio io nacqui,
 tu fra gli ostri reali.
 GUALTIERO
                                      Era il tuo incarco?
 GRISELDA
 Pascer gli armenti.
 GUALTIERO
                                     Il mio?
 GRISELDA
                                                     Dar leggi al mondo.
 GUALTIERO
 Come al trono salisti?
 GRISELDA
25Tua bontà fu, cui piacque
 sollevarmi dal pondo
 della mia povertà vile ed abbietta.
 GUALTIERO
 Così al regno ti ammisi?
 GRISELDA
                                               E fui tua serva.
 GUALTIERO
 Tal ti accolsi nel letto?
 GRISELDA
                                           Ed io nel core.
 GUALTIERO
30(Meritar men d’un regno
 non dovea tanta fede e tanto amore).
 Prole avemmo?
 GRISELDA
                                Una figlia.
 GUALTIERO
                                                      E tolta questa
 ti venne dalla cuna?
 GRISELDA
 E più non n’ebbi, oh dio! notizia alcuna.
 GUALTIERO
35Quant’ha?
 GRISELDA
                       Quindici volte
 compié d’allor l’annua carriera il sole.
 GUALTIERO
 Ti affliggesti?
 GRISELDA
                            Fu legge
 al mio duolo un tuo cenno.
 GUALTIERO
                                                   Io fui per essa
 e carnefice e padre.
 GRISELDA
                                       Era tuo sangue
40e versar lo potevi a tuo piacere
 GUALTIERO
 E m’ami anche crudel?
 GRISELDA
                                             Meno amar io
 non ti potrei, se ancor versassi il mio.
 GUALTIERO
 Alfin?
 GRISELDA
               Nacque Everardo,
 unica tua delizia.
 GUALTIERO
                                  In sì gran tempo
45ti spiacqui? Ti oltraggiai?
 GRISELDA
                                                 Grazie sol n’ebbi.
 GUALTIERO
 Di quanto feci, io non mi pento. Il cielo
 testimonio mi sia; ma pur conviene
 che ritratti i miei doni. Il re talvolta
 dee servire a’ vassalli e seco stesso,
50per serbarne il dominio, esser tiranno.
 GRISELDA
 Dove tu imperi, ogni ragion condanno.
 GUALTIERO
 La Sicilia, ove io regno,
 ubbidirmi ricusa. Ella mi sgrida
 che i talami reali abbia avviliti
55sposandomi a Griselda; e non attende
 da’ boschi, ove sei nata, il suo monarca.
 A chiamar m’ha costretto
 sposa di regio sangue al trono e al letto.
 GRISELDA
 La provincia vassalla
60tanti lustri soffrì me per regina;
 ed or sol mi ributta?
 GUALTIERO
                                        Ella è gran tempo
 che ricalcitra al giogo. Io già svenai
 di stato alla ragion l’amata figlia.
 Gli odi alquanto sopì ma non estinse.
65Or che nacque Everardo, impaziente
 torna all’ire e m’insulta.
 GRISELDA
 S’Everardo sol rompe
 sì bei nodi d’amor, dunque Everardo...
 Ah no... Griselda mora. (Si leva)
70Son moglie, è ver, ma sono madre ancora.
 GUALTIERO
 Moglie più non mi sei. (Levandosi)
 GRISELDA
 Mi condona, o mio re, se troppo chiesi
 e se troppo tardai
 forse a renderti un nome a me sì caro.
75Il tuo voler dovea
 esser norma al mio affetto. Ecco mi spoglio
 il diadema e lo scettro; e a quella destra,
 che mel cinse e mel diede,
 riverente il ritorno. (Dà a Gualtiero la corona e lo scettro che, prendendoli, fa deporli ad uno de’ suoi sopra d’un tavolino)
 GUALTIERO
                                       (Alma, resisti).
 GRISELDA
80Se ti piaccio in tal guisa,
 nelle perdite ancor trovo gli acquisti.
 
    Fa’ di me ciò che ti piace
 e contenta anch’io sarò.
 
    Questo core e questa vita,
85perch’è tua, sol m’è gradita;
 a un tuo cenno ella soggiace;
 quando vuoi, morir saprò.
 
 SCENA III
 
 ELPINO e i suddetti
 
 ELPINO
 Presto, signore.
 GUALTIERO
                               Elpino.
 ELPINO
 Or al porto... (Veduta Griselda ammutisce)
 GRISELDA
                           Che fia?
 ELPINO
90Oimè! Qui la regina?
 GUALTIERO
                                          E bene, al porto...
 ELPINO
 (Se mi sente Griselda, Elpino è morto). (Piano al re)
 GUALTIERO
 Parla; né dubitar.
 ELPINO
                                   Giunta è la sposa.
 GUALTIERO
 Giunta è la regia sposa? Addio, Griselda.
 GRISELDA
 Così tosto mi lasci?
 GUALTIERO
                                      Atteso io sono. (Senza più riguardarla)
 GRISELDA
95Almeno un solo sguardo
 volgimi per pietà.
 GUALTIERO
                                    Troppo mi chiedi.
 GRISELDA
 Dunque, Gualtiero, addio.
 ELPINO
 Se ti lascia Gualtier, ti lascio anch’io. (Fingendo partirsi, torna poscia a Griselda)
 GUALTIERO
 
    Vado a mirare un volto,
100vado a baciare un labbro,
 per vezzo più gentile,
 più vago per beltà.
 
    Per te già il cor disciolto
 ama in prigion non vile
105perder la libertà.
 
 SCENA IV
 
 GRISELDA
 
 GRISELDA
 Ecco il tempo, in cui l’alma
 dia saggio di sé stessa. Ostri reali
 vestì già senza fasto; e al primo nulla
 torni senza viltà. Sol può Gualtiero
110vincer la mia costanza.
 Col tormi un sì gran bene
 del mio coraggio in onta,
 mie sciagure, imparate ad esser pene.
 
 SCENA V
 
 OTONE e GRISELDA
 
 OTONE
 Regina, se più badi,
115più regina non sei.
 GRISELDA
 (Costui quanto è importun!)
 OTONE
                                                       Sulle tue chiome
 la corona vacilla.
 A serbartela Otone è sol bastante,
 fido vassallo e cavaliero amante.
 GRISELDA
120Chi mi toglie il diadema
 mi ritoglie un suo don. Se perde il capo
 l’insegne di regina, a me costante
 resta il cor di Griselda.
 OTONE
 E soffrir puoi che altra ti usurpi un fregio
125che a te sola convien?
 GRISELDA
                                          Fregio che basta
 è l’innocenza all’alma.
 OTONE
                                           Io, se lo imponi,
 anche in braccio a Gualtiero
 svenerò chi ti toglie
 il nome di regina e quel di moglie.
 GRISELDA
130Iniquo! E lo potresti? E tal mi credi?
 OTONE
 Pensa che in un rifiuto
 perdi troppo.
 GRISELDA
                            Che perdo?
 OTONE
 Regno.
 GRISELDA
                Che mio non era.
 OTONE
 Grandezze.
 GRISELDA
                        Oggetto vile.
 OTONE
135Sposo.
 GRISELDA
                Che meco resta,
 lontano ancor, nell’alma mia scolpito.
 OTONE
 Un tuo sguardo, Griselda,
 dà tempre a questo ferro; ed un suo colpo
 troncherà i tuoi perigli; e tu nol curi?
 GRISELDA
140Col prezzo della colpa
 grandezza non si ottien, si ottien rovina.
 Sinché il senso è vassallo, io son regina.
 
    Nella crudel mia sorte
 non ti lusinghi il cor
145vana speranza.
 
    Più stabile e più forte
 vedrai del suo rigor
 la mia costanza.
 
 SCENA VI
 
 OTONE
 
 OTONE
 Troppo avvezza è Griselda
150tra le porpore al fasto; or la corona
 adito non le lascia a’ miei sospiri.
 Ma forse col diadema
 deporrà la fierezza;
 e lontana dal soglio,
155avrà forse pietà del mio cordoglio.
 
    Chi regina mi disprezza
 pastorella mi amerà.
 
    Le dà fasto la grandezza.
 Gentilezza
160potrà darle la viltà.
 
 Porto di città con navi in lontananza.
 
 SCENA VII
 
 CORRADO, ROBERTO e COSTANZA
 
 CORRADO
 Germani e ben entrambi,
 un di affetto, un di sangue,
 dirò germani miei, cari egualmente,
 qui per breve ora m’attendete. Io deggio
165gire incontro a Gualtiero, al regio sposo.
 ROBERTO
 (Oh nome che mi uccide!)
 COSTANZA
                                                   (Oh dì penoso!)
 CORRADO
 
    Al tuo destin, più grato (A Costanza)
 mostra nel volto il cor.
 
    Oggi per tuo contento
170beni dispensa il fato,
 gioie prepara amor.
 
 SCENA VIII
 
 ROBERTO e COSTANZA
 
 ROBERTO
 Costanza, eccoti in porto.
 Questa che premi è la Sicilia; e quella
 è l’alta reggia, ove Gualtiero attende
175leggi dal ciglio tuo per darle al mondo.
 COSTANZA
 Ah Roberto, Roberto!
 ROBERTO
 Tu sospiri? Ed accogli
 mesta le tue fortune?
 COSTANZA
                                          Io mi torrei
 più volentier viver privata e lunge
180da quella reggia, a me di gioie avara,
 purché io di te, tu di me fossi.
 ROBERTO
                                                         Oh cara!
 COSTANZA
 
    Un sol de’ tuoi sguardi
 val ogni grandezza.
 
    Nel dirti: «D’affetto
185mi struggo e tu m’ardi»
 ho tutto il diletto
 che l’alma più apprezza.
 
 ROBERTO
 Ah, che un sol lampo appena
 dell’aureo scettro e del reale ammanto
190ti verrà a balenar sulle pupille,
 che ti parrà a quel lume
 vile l’amor che per me t’arde; e cinta
 di corona le chiome,
 accostarti all’udito
195non lascerai pur di Roberto il nome.
 COSTANZA
 Poco, incredulo, poco
 il mio cor tu conosci
 e pur tutto il possiedi. Al cielo, a’ numi
 giuro che più...
 ROBERTO
                               Deh taci.
200Col grado cangerai sensi e costumi.
 COSTANZA
 Andiam ora, se il vuoi,
 dove meno è di rischio e più di pace.
 Verrò, se pur ti piace...
 ROBERTO
 No no, regna nel mondo
205come sull’alma mia. Sì vil non sono
 che a discender dal trono io ti esortassi.
 Non ti amerei, se a prezzo tal ti amassi.
 COSTANZA
 Pensa che, giunta al regno e altrui consorte,
 mi vieteran l’amarti,
210per tuo, per mio gastigo, onore e fede.
 ROBERTO
 Lo so; ma pur desio
 più la grandezza tua che il piacer mio.
 COSTANZA
 Poscia invan ti dorrai.
 ROBERTO
                                           La tua beltade,
 ch’amo ancor né più spero,
215più che degna di me, degna è d’impero.
 
 SCENA IX
 
 GUALTIERO, CORRADO, ELPINO e i suddetti
 
 GUALTIERO
 L’arcano in te racchiudi. (A Corrado)
 CORRADO
 È mia cura obbedir. (A Gualtiero)
 GUALTIERO
                                         Bella Costanza.
 COSTANZA
 Gran re.
 GUALTIERO
                   Qual mai ti stringo! E qual nel core
 mi nasce in abbracciarti
220tenerezza e piacer, figli d’amore?
 COSTANZA
 Signor, da tua bontà l’alma sorpresa
 tace; e i timidi affetti,
 più che il mio labbro, il mio tacer palesa.
 ROBERTO
 (Soffri, o misero cor!)
 COSTANZA
                                           (Mesto è il germano).
 ELPINO
225Lascia che anch’io, regina,
 la man ti baci.
 GUALTIERO
                             È questi
 il fido servo Elpin.
 COSTANZA
                                     Mi sarai caro.
 GUALTIERO
 Omai vien meco a parte
 di quello scettro e di quegli ostri, o bella,
230che in benefico influsso
 già riserbaro al tuo natal le stelle.
 Tu pur verrai, Roberto,
 oh di ceppo real germe ben degno!
 Oggi da voi riceva
235ornamento la reggia e gioia il regno.
 ROBERTO
 Gran re, troppo mi onori.
 GUALTIERO
 Elpin.
 ELPINO
               Signor.
 GUALTIERO
                               Fa’ che Griselda affretti
 fuor della reggia il piè.
 ELPINO
                                            Corro veloce. (Si parte)
 GUALTIERO
 Andiam; più non s’indugi, idolo mio.
 COSTANZA
240Seguo il tuo piè. (A Gualtiero)
                                  Prence. (A Roberto che se le accosta)
 ROBERTO
                                                  Regina.
 COSTANZA, ROBERTO A DUE
                                                                   Addio. (Gualtiero, volgendosi improvviso a Costanza, la vede mesta e nel partire si ferma)
 GUALTIERO
 
    Vago sei , volto amoroso;
 ma ti affligge un non so che.
 Dillo a me per tuo riposo;
 quell’affanno e che cos’è?
 
 COSTANZA
 
245   Sento anch’io nel mio contento
 che mi affligge un so che.
 S’io nol so, che pur lo sento,
 chi può dir che cosa egli è?
 
 SCENA X
 
 ROBERTO e CORRADO
 
 ROBERTO
 German, se avevi a tormi
250l’amabile Costanza,
 perché sin da’ primi anni
 non mi vietar d’amarla?
 Perché adular la mia speranza? I miei
 voti perché tradir?
 CORRADO
                                     Regge, o Roberto,
255gli umani casi il ciel. Soffri più forte
 l’alto voler né ti attristar cotanto.
 Sovente ei si compiace
 farci a un vero gioir strada col pianto.
 ROBERTO
 Costanza era già il solo
260diletto de’ miei giorni. Io l’ho perduta.
 Altro ben non mi resta e non mi lice
 sperarlo più.
 CORRADO
                           Ti accheta.
 Pria che termini il dì, sarai felice.
 
    Le vicende della sorte
265sono instabili ed infide;
 
    alma saggia e cor ch’è forte
 non disperi allor che piange,
 non si gonfi allor che ride.
 
 SCENA XI
 
 ROBERTO
 
 ROBERTO
 Quai lusinghe! Sì chiara
270è la perdita mia che il dubitarne
 sarebbe inganno. Al regio sguardo, ahi, troppo
 piacque la mia Costanza.
 Ed a chi mai non piaceria quel volto?
 Sol per mio mal le stelle,
275o pupille adorate,
 fecer me così amante e voi sì belle.
 
    È troppo bel quel volto
 per non doverlo amar.
 
    Amor negli occhi accolto
280vi fa del guardo un fulmine
 per arder e piagar.
 
 Cortile interno alla reggia.
 
 SCENA XII
 
 GRISELDA in abito pastorale ed ELPINO
 
 ELPINO
 Parti. Ecco il re.
 GRISELDA
                                Ch’io parta?
 E ch’io lasci Gualtier, senza che il miri?
 ELPINO
 Tanto egli impon.
 GRISELDA
                                   Senz’alma
285chi può partir?
 ELPINO
                               Deh, tosto...
 GRISELDA
 No no, qui ancor l’attendo; e tu, se nulla
 ti movono a pietà le mie sciagure...
 ELPINO
 Che far potrei?
 GRISELDA
                               Recami il figlio, ond’io
 nell’ultimo congedo, in tanto duolo
290possa imprimere almeno
 su quel tenero labbro un bacio solo.
 ELPINO
 (Mi fa pietà). Per compiacerti io volo.
 
 SCENA XIII
 
 GUALTIERO, che viene vagheggiando un ritratto, e GRISELDA
 
 GUALTIERO
 
    (Quanto vago è quel sembiante
 che mi accende e m’innamora!)
 
 GRISELDA
 
295   (Ma più fida e più costante
 è quest’alma che ti adora).
 
 GUALTIERO
 Nella reggia tu ancora,
 Griselda? E non partisti?
 GRISELDA
 Parto, amato mio re, poiché mi è tolto
300dirti «amato mio sposo». Eccomi ancora
 in quel rustico ammanto, in cui ti piacqui.
 GUALTIERO
 (Adorate sembianze!)
 GRISELDA
 Tal mi presento a te, non perché speri
 più di piacerti ancor. Fu, se mi amasti,
305tua bontà, non mio merto.
 Vengo sol da quegli occhi,
 sì, da quegli occhi ond’ardo,
 a ricever l’estremo,
 sia pietoso o crudel, sempre tuo sguardo.
 GUALTIERO
310Che? Di te mi favelli! Ed io credea
 che la nova mia sposa
 ti occupasse il pensier. La vidi, oh quanto
 bella e gentil! Tu stessa
 l’ameresti, o Griselda.
 GRISELDA
                                           E l’amo anch’io. (Gualtiero torna a mirare il ritratto)
315Ciò che piace al tuo affetto è caro al mio.
 GUALTIERO
 Nel suo ritratto appunto
 vagheggio il dardo, onde trafitto ho il core.
 GRISELDA
 La tua gioia è conforto al mio dolore.
 GUALTIERO
 Vedi s’io mento. (Dandole il ritratto)
 GRISELDA
                                  Oh numi! (Lo mira attenta)
320Quai sembianze! Qual volto!
 GUALTIERO
 Che ti sembra?
 GRISELDA
                               Ah, signore,
 ne’ suoi lumi ha i tuoi lumi,
 nella sua la tua fronte; e in lei ravviso,
 solo alquanto men crudo, il tuo bel viso.
 GUALTIERO
325È bella.
 GRISELDA
                 È di te degna.
 GUALTIERO
 Godrò seco felice. (Togliendole di mano il ritratto)
 GRISELDA
                                    Il ciel ti dia
 lunga età, fausto regno.
 De’ tuoi figli i nipoti
 ti vezzeggino intorno; e appena in tanta
330serie d’alte fortune,
 ti sovvenga talvolta
 della misera tua fedel Griselda.
 Ella torna a’ suoi boschi,
 onde trarla a te piacque; e sol vi reca
335un rifiuto di morte, un cor senz’alma.
 GUALTIERO
 Altro dirai?
 GRISELDA
                         Che serbi
 la pietà, che a me neghi,
 per l’innocente figlio; e in lui perdoni
 al tuo, non al mio sangue.
 GUALTIERO
340Non più.
 GRISELDA
                    Parto, mio sire.
 Lungi dal caro oggetto
 troppo qui ti rattenni.
 La forza, che a te fai, ti leggo in volto.
 GUALTIERO
 Torna a’ boschi e ti affretta.
345(Ceder mi converrà, se più l’ascolto).
 
 SCENA XIV
 
 GRISELDA, ELPINO con EVERARDO e poi OTONE nascosto
 
 ELPINO
 Qual chiedesti, ecco il figlio.
 Tel concedo un momento.
 Temo usarti pietà con mio periglio. (Elpino si ritira. Otone a parte lo afferra e gli parla all’orecchio)
 GRISELDA
 Everardo, o soave
350frutto dell’amor mio,
 in te già di quest’alma
 bacio una parte, bacio
 l’immagine adorata
 del mio Gualtiero; e in questo bacio sento
355rallentarsi il rigor del mio tormento.
 OTONE
 Ciò che imposi eseguisci. (Piano ad Elpino)
 GRISELDA
 Labbro vezzoso e caro...
 ELPINO
                                             A me, Griselda, (Va a prenderle di mano il fanciullo)
 lascia...
 GRISELDA
                 Ancora un momento.
 ELPINO
 Non posso.
 GRISELDA
                       Oimè! Di vita
360toglimi ancor. (Elpino guarda Otone)
 OTONE
                              Che più dimori? (Minacciandolo)
 ELPINO
                                                               Invano. (Togliendole di braccio Everardo)
 GRISELDA
 Chi è di cor sì spietato
 che contenda a una madre il dolce amplesso?
 ELPINO
 Tel dica Otone. (Mostrandole Otone che si avanza)
 OTONE
                                Il tuo Gualtiero istesso.
 GRISELDA
 Da labbro più odioso
365giunger non mi potea nome più caro.
 OTONE
 Io pietoso tel lascio.
 GRISELDA
 Ricuso il dono.
 OTONE
                              Ingrata.
 GRISELDA
                                               Ecco veloce,
 per non soffrir tuoi sguardi,
 alla dura partenza il cor si appresta.
370(Mio Gualtier, ti ubbidisco).
 OTONE
                                                      Odi; t’arresta.
 GRISELDA
 
    So che vuoi parlar d’amore;
 né al mio core
 sa piacer la tua favella.
 
    Non dar luogo a rea speranza,
375così vuol la mia costanza
 e il tenor della tua stella.
 
 SCENA XV
 
 OTONE ed ELPINO con EVERARDO.
 
 OTONE
 Non giovan le lusinghe;
 gioveran le minacce. Elpin.
 ELPINO
                                                    Signore.
 OTONE
 Sino ad altro mio cenno
380custodisci il fanciullo. A me già diede
 Gualtier gli ordini suoi.
 ELPINO
                                              Sai la mia fede. (Si parte col fanciullo)
 OTONE
 Altra via con costei
 s’ha da tentar, cor mio. Già la disegno.
 Ciò che non può l’amor, vinca l’ingegno.
 
385   Farò quanto potrò,
 per espugnarti un dì,
 beltà tiranna.
 
    Un cor, che viva in pene,
 è fabbro del suo bene,
390allor che inganna.
 
 Il fine dell’atto primo